Archeopatie
Mostra personale al Museo Archeologico di Milano 5 ottobre 1995 – 27 ottobre 1996
Da “Gianni Ottaviani: Viaggio teatrale nel post-antico”
di Riccardo Barletta Critico d’Arte-1995
Archeopatie : una parola composta da due termini che provengono dal greco “archeo” che vuol dire antico ”patie” che deriva da “pathos”, che vuol dire forte sentimento: Quindi il concetto globale è
“Sentimento forte dell’antico”.
Naturalmente sentimento forte dell’antico di una persona moderna. …….si tratta quindi di una situazione che potremmo definire “post-moderna” nel senso che l’osservatore viene coinvolto in una osmosi, in una fusione di presente e di passato.
Nell’antico si parlava di imitazione della natura da parte dell’Arte e qui invece si ricostruisce una globalità della vita attraverso alcuni reperti. Ebbene questo discorso è importante perché riproduce non tanto la storicità , cioè una serie di avvenimenti, quanto la “storialità “ cioè il sentimento umano collegato a questi avvenimenti.
Il caso di Ottaviani vuole che egli, dopo un lungo percorso di produzione artistica, un’immagine sostanziale forte, direi anche tutta sua, l’abbia trovata.
Qual è questa immagine? E’ quella della sacralità classica, che egli esprime attraverso
immagini, altari, are, templi, teatrini, stele.
Quindi i suoi reperti e il suo frammentismo esistono solo in quanto vengono racchiusi
in questa idea simbolica e plastica estremamente forte.
La mostra per restauri del Museo è stata sospesa nel febbraio 1996.
Riallestita nel giugno 1996 è stata prorogata fino al 27.10.96
Aspetti della mostra
Alcune opere esposte
..sono opere come abbiamo detto “post-moderne” perché, anche se riguardano uno
stile di cui parleremo che è il “post-antico” , determinano sempre una complessità.
Ottaviani come abbiamo detto, lavora in maniera complessa, attraverso elementi
stilistici come i grafismi – il ritmo – il colore – la figura e l’astrazione.
Da una parte vediamo l’ “Homo faber” , l’uomo che plasma finte sculture antiche con la terracotta come fa Ottaviani, e dall’altro vediamo un altro concetto, l’
“Homo divinians”,
l’uomo che cerca il divino che non trova nel moderno ma lo trova solamente come desiderio, come immagine dell’Arte. ..ma dobbiamo aggiungere un ultimo concetto per meglio capire non solo la posizione di Ottaviani ma anche una posizione nuova, e dobbiamo usare una parola piuttosto difficile:
“ Tetra-dimensionalità”
cioè dimensionalità a quattro lati. Ebbene, in un’opera come questa di Ottaviani e anche in opere passate noi abbiamo quattro dimensioni: Le dimensioni dello spazio più la dimensione del tempo. Quindi questa nuova dimensione è una dimensione in cui la memoria agisce con l’immagine dello spazio ed è una potenzialità importante per la formica contemporanea che vorrebbe e non riesce a diventare un semidio.
Dal catalogo della mostra:
“ Archeopatie” di Ermanno Arslan
Archeologo già Direttore del Museo Archeologico di Milano e
ex Sovrintendente del Comune di Milano.
Ottaviani ha sentito l’obbligo doloroso di esprimere sensazioni quasi di naufragio:Si
coglie un tentativo di ricostruire nella propria opera le leggi spietate del tempo e dell’oblio .. l’artista con dolore e con smarrimento,ha riconosciuto le motivazioni del proprio essere, e quindi la propria vita,in una realtà terragnana, quasi stratificazione archeologica , con la successione e l’obliterazione dei segni della propria storia, come la terra nasconde e rivela a brandelli la propria. l’artista sapeva di essere la somma delle proprie storie, così come la terra è la somma delle storie degli uomini che hanno vissuto nel passato e porta i segni slabbrati delle culture che si sono succedute nel tempo. ..le figure quindi senza modificarsi si sono frammentate e si sono poste in termini quasi di relitto. E dalla collocazione del relitto del passato in un punto preciso del terreno, nella stratigrafia, unico dato talvolta certo del suo esistere, del suo essere residuo, Ottaviani ha derivato le gabbie nelle quali ha inserito le proprie immagini tenui , dolorose, solitarie. Gabbie che corrispondevano quindi alla ricerca, che appare costante in Ottaviani,gli spazi sacrali , che da caselle sono divenute ben presto nicchie, da nicchie sono divenute allusione, o illusione, a templi classici.
….ogni immagine o brandello d’immagine, ha cercato prima una propria delimitazione, poi si è raccolta in una propria solitaria dimensione, ha trovato ed accettato una propria realtà, anche se dolorosa, precaria, frammentata . E nel dolore, nella precarietà, nella frammentazione, queste immagini hanno trovato in se stesse ragioni universali e la necessità di proporsi,di coinvolgerci,di farsi opera d’Arte e di comunicare come tale. Allora il tempio è divenuto scena teatrale: Luogo di un’azione appunto teatrale dove affluiscono immagini talvolta evocatrici di narrazioni spezzate, di realtà in frammenti che l’Artista talvolta sembra recuperare dai livelli più profondi della sua esperienza o della memoria del mondo.
Ottaviani non si arresta di fronte alla mutilazione,al vuoto, al silenzio,alla perdita di ogni rapporto logico con la storia, accetta il rischio della solitudine, del buio,del nulla.
La sua espressione artistica in questo dramma ci appare raggiunga i vertici della sofferenza profonda ma anche della necessità di divenire opera d’arte concreta.
Alcune recensioni :
“Archeopatie” di Gianni Ottaviani“
“…incredibile come questo Museo del passato riesca sempre ad organizzare
egregie mostre di arte contemporanea” F.Bonazzoli
Corriere della Sera 17.1.1996
“Al Museo Archeologico viaggio nel Post-Antico “
“…l’artista marchigiano Gianni Ottaviani coinvolge gli spettatori in un’azione di
frammentazione-dispersione-ricostruzione di sue opere.”
Il Giorno 8.8.1996
“Affrettatevi che chiudono”
“…probabilmente anche le Archeopatie di Gianni Ottaviani lasciano perplessi i profani. Eppure superata la ritrosia iniziale si trovano aspetti tutti da scoprire” F. Petricone .
Il Giornale 20.8.1996
“Le Archeopatie di Gianni Ottaviani”
“…in realtà è un artista colto che trae i segni essenziali della sua pittura dalle
antichità… è proprio uno che si distingue nel panorama artistico
contemporaneo… da qualunque parte si legga in un suo quadro c’è sempre l’io della
cosa e il suo contrario: L’ambiguità classica della vera Arte” R.Paglia
Mondolibero 12.2.1996
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